Anche sulle pareti nord soffiò un vento nuovo

Questa sera, 8 novembre 2018, a Torino, al Salone UGET, Parco della Tesoriera, corso Francia 192, grande incontro pubblico in occasione della presentazione del libro di Enrico Camanni Verso un nuovo mattino. Ospite della serata, Marco Bernardi. Abbiamo ritenuto opportuno pubblicare questo scritto di Roberto Bianco che getta ulteriore luce su quel periodo.

Anche sulle pareti nord soffiò un vento nuovo
testimonianza sul Nuovo mattino
di Roberto Bianco

Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)

Ho avuto la fortuna e l’onore di arrampicare con Gian Carlo Grassi, Ugo Manera, Gian Piero Motti e Dino Rabbi. Con Dino, per lungo tempo, ho formato una buona cordata e ho potuto esprimere la mia maturità alpinistica.

All’inizio di questa primavera 2018 al cinema Massimo di Torino è stata organizzata una serata di filmati, foto e testimonianze, dedicata a Gian Piero Motti e al Nuovo mattino. Itaca nel sole, mitica via della valle dell’Orco, era l’affascinante richiamo. Considerando che all’epoca nessuno di noi era stato in Yosemite, è un vero peccato che in questa serata non sia parlato dell’anello fondamentale che ha permesso l’arrivo del pensiero californiano in Piemonte: i contatti con gli alpinisti francesi, che a loro volta avevano conosciuto e assimilato idee e tecniche dagli americani arrivati a Chamonix attratti dal Monte Bianco. John Harlin, Royal Robbins, Tom Frost, Gary Hemming ai tavolini dello storico “Café de la Potinière”, con le alte vetrate che permettevano di controllare le condizioni sulle “Aiguilles” stando seduti all’interno, tra una birra e l’altra fraternizzavano e scambiavano idee con i locali. Gian Piero, intelligente e sensibile, conosceva il francese e l’inglese, leggeva Mountain e Ascent e aveva rapporti con Lucien Devies, allora direttore della rivista La Montagne, che lo invitò dapprima a Parigi e poi a Grenoble. Ne nacque una collaborazione che gli permise di conoscere l’ambiente del GHM (Groupe Haute Montagne) e in particolare Patrick Cordier, che lo accompagnò poi sulle più belle “falaises” d’oltralpe. Amava anche gli articoli di Bernard Amy e, secondo me, ne rimaneva ammaliato. In questo quadro generale arrivò a Torino lo scozzese Mike Kosterlitz e il contagio di idee fu perfetto. Nel 1973, un po’ inconsapevolmente come Forrest Gump, partecipai a una salita che divenne storica: la via del Pesce d’Aprile alla Torre di Aimonin con Mike Kosterliz, Gian Piero Motti e Ugo Manera, dove per la prima volta apparirono i nut, grazie al futuro premio Nobel per la Fisica che aprì la via utilizzandoli sul diedro centrale.

Roberto Bianco sulla Nord della Dent Blanche, prima taliana, sotto una grandinata. Foto: Enrico Pessiva

Ritornando a Itaca nel sole, l’intervento di Alberto Re ci ha ricordato che Gian Piero non aveva solo fatto palestra e “falaises” (immagine che emergeva dalla serata), ma anche “grandes courses” come la Walker alle Grandes Jorasses e la prima solitaria al Pilier Gervasutti del Mont Blanc du Tacul.

Vorrei sottolineare che il suo grande merito è storico e culturale, poiché grazie ai suoi contatti e alla conoscenza delle lingue, per primo ha saputo cogliere e diffondere lo spirito innovatore che era nell’aria. Ha allargato gli orizzonti dell’alpinismo (sottolineo la parola alpinismo e non solo arrampicata) piemontese inserendolo in un ambiente internazionale e trasformando il Nord-ovest in punto di riferimento per tutti.

Roberto Bianco sul Pilier d’Angle, via Cecchinel-Nominé, prima italiana. Foto: Enrico Pessiva

In quei tempi mi guadagnavo qualche soldo facendo contrabbando di piccozze e ramponi della Charlet Moser, dove avevo conosciuto Jean-Marc Boivin, testimonial del marchio. Stimolato dalla fantastica atmosfera che si respirava qui in Piemonte, lo invitai a Torino e con l’aiuto di Motti, Rabbi e Manera organizzammo una serata che divenne memorabile. La città rispose alla grande! Palazzo Esposizioni rigurgitava di gente e la folla rimasta fuori riuscì ugualmente a entrare spingendo e accalcandosi in sala dove, da attore consumato, Jean-Marc sorridente, prima dei filmati, si esibì in una dimostrazione di “piolet traction” su di una rampa di tenero legno, fatta costruire appositamente. Applausi scroscianti. C’erano appassionati che arrivavano da Cuneo, dalla Valle d’Aosta, da Milano, da Lecco, da Brescia. Ci mancò poco che arrivasse anche l’Avvocato. Si toccava con mano un’atmosfera entusiasta e avida di novità. Grazie a Gian Piero, Torino raggiungeva una centralità prima sconosciuta.

Proseguendo di slancio, seguirono altre serate con Patrick Gabarrou e Patrick Bérhault. Avevo la sensazione che i francesi venissero volentieri in questa Torino così ricca di fermenti e intellettualmente stimolante.

Roberto Bianco nel couloir Lagarde-Ségogne al Caiman, prima italiana, 7a assoluta. Foto: Dino Rabbi

Pochi giorni dopo la serata al cinema Massimo esce l’interessante libro Verso un nuovo mattino del bravo Enrico Camanni, che inquadra nelle vicende italiane l’origine e l’evolversi di questa corrente innovatrice. Molto dettagliato per quanto riguarda la valle dell’Orco e il mondo dell’arrampicata, qualche riferimento alle particolari imprese su ghiaccio di Grassi e Gianni Comino, ma l’alta montagna, le grandi vie di misto, diciamo pure l’Alpinismo non viene considerato. La ritengo un’analisi non corretta e parziale, storicamente ingiusta. Infatti dopo il ’68 francese tutto il mondo è stato investito da un’aria nuova e innovatrice in ogni campo. Indubbiamente le nuove tecniche e mentalità rinnovano l’Alpinismo classico. Anche sulle pareti nord soffia un vento nuovo. Walter Cecchinel apre nuove vie fantastiche e noi assetati di nuovo bruciavamo dalla voglia di andare a ripeterle. Non sono assolutamente d’accordo quando Camanni, pur come opinione personale, scrive: “Bisogna davvero essere ammalati di eroismo per scalare le pareti nord, specie se non si sa godere l’avventura, non pensare ai rischi“. Noi non amavamo certo lo spirito eroico e la sofferenza e cercavamo di calcolare bene pericoli e strategie di salita. La mente era aperta e curiosa con un grande desiderio di vivere l’Avventura. Quindi quale terreno migliore delle “grandes courses” per un profondo viaggio dentro se stessi, in un ambiente selvaggio lontani da vie alla moda e superaffollate. Senza stare a disturbare concetti come “dilatazione sensoriale, realtà separata e percezione visionaria”. Se ripenso alle dieci più belle pareti nord salite in quegli anni, solo sul Cervino abbiamo incontrato tre giapponesi, per le altre nove perfetta solitudine. Personalmente cercavo di portare una bottiglia di barbera per il bivacco e talvolta anche un sigaro. Altro che sofferenza! Avere poi in cordata uno come Mario Marone era divertimento garantito in ogni situazione. Sulla Nord della Dent Blanche un torrione di roccia crolla e ci sfiora sul pendio centrale; lui annota semplicemente: ”il rumore dei sassi che ti passano accanto è simile al pesante battito d’ali delle pernici di monte”. Vero humor inglese, non certo toni drammatici alla Bonatti.

Les Droites, parete nord, sulla via Jackson-Ginat nel 1980. Foto: Ezio Mosca

La “piolet traction”, i chiodi al titanio, indumenti in goretex, cibi liofilizzati unitamente al nuovo spirito permettono un salto qualitativo notevole. Gli inglesi Joe Tasker e Pete Boardman ripetono molte grandi Nord delle Alpi e ne pubblicano una classifica sul famoso n.27 di Mountain che diventa la Bibbia dei ghiacciatori. Ne segue un’esplosione di grandi realizzazioni fatte con uno spirito veramente nuovo: niente eroismi e conquiste, ma avventura profonda e piacere intimo, personale, che è qualcosa di più del divertimento; come sentirsi in piena armonia con l’ambiente che ci circonda, come se anche noi stessi ne facessimo parte. Ci si accorge che bivaccare non è poi così male, anzi è una bella occasione per entrare in maggior sintonia con la montagna.

La mia generazione ha avuto la fortuna di vivere negli anni Settanta l’ultimo splendido decennio dell’Alpinismo classico, di cui, secondo me, il Nuovo Mattino fa parte. Vi era ancora tanto da fare: nuove vie da aprire e prime ripetizioni che aspettavano, per non parlare poi di prime italiane, invernali e solitarie. Con un po’ di allenamento, coraggio, passione e curiosità anche alpinisti del fine settimana come noi, potevano provare la sensazione di partecipare un pochino alla storia dell’alpinismo. Poi arrivarono gli anni ‘79 e ‘80 e tutto cambiò. Patrick Bérhault, Christophe Profit e il nostro formidabile Marco Bernardi portano in alta montagna stile, velocità e potenza atletica. Sempre più preparati con ginnastica specifica e attenta alimentazione molti arrampicano a tempo pieno. Arrivano gli sponsor, exploit spettacolari per i media, concatenamenti di più vie in tempi incredibili, gare di arrampicata sportiva. Prestazioni indubbiamente superlative.

Alla base della parete nord di Les Droites, dopo il tentativo sulla via Jackson-Ginat, 1980. Foto: Ezio Mosca

Fine agosto 1980: in quattro amici siamo a quasi due terzi della Nord dei Droites. Partiti sulla via Cornuau-Davaille, non so come, ci siamo ritrovati sulla via Jackson-Ginat e ora un bel diedro con sottile strato di ghiaccio ci blocca. Troppo sottile per avvitare un buon chiodo. Mentre facciamo qualche tentativo a destra, vediamo arrivare dal ripido pendio sotto di noi due superalpinisti velocissimi e slegati, che ovviamente, data l’ora, avranno attaccato la parete verso le dieci del mattino. Ci salutano con un bel sorriso mentre si danno finalmente una legatina e passano come se niente fosse su quel fragile specchio. Noi ci guardiamo negli occhi e comprendiamo che è finita un’era, il “nuovo mattino”, l’Alpinismo classico… C’è un altro mondo che avanza!! In silenzio, come svuotati interiormente, prepariamo la prima doppia e iniziamo una lunga e complicata discesa. Siamo storditi e demoralizzati, ci sentiamo ridicoli. I tempi sono decisamente cambiati e la dura realtà è lì, evidente.

Capiremo in seguito l’importanza di vivere liberamente la nostra avventura divertendoci.

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Anche sulle pareti nord soffiò un vento nuovo ultima modifica: 2018-11-08T05:37:48+01:00 da GognaBlog

37 pensieri su “Anche sulle pareti nord soffiò un vento nuovo”

  1. 37
    Alberto Benassi says:

    Grazie comunque per lo scambio di opinioni, per il confronto  e per il suggerimento dell’articolo.

    anzi Roberto, potresti mettere l’articolo di Cassarà qui .

    Spesso parlavo la sera con Renato e gli chiedevo come e perché facesse certe salite che sembravano spesso prima inconcepibili e poi per molti inaccettabili.

    @Paolo :  inconcepibile ,   enaccettabile

    quante volte nella storia dell’alpinismo si sono sentite fare queste dichiarazioni?

     

  2. 36
    Alberto Benassi says:

    Roberto mi spiace se ho usato un tono forte. Non era mia intenzione mancarti di rispetto, ma il tuo affermare citando Cassarà:

    Parlando in particolare di  Comino concordo pienamente con le opinioni di Emanuele Cassarà che scrive a pag. 35  di Liberi Cieli 1979 : “L’alpinismo di Gianni Comino non può essere proposto. Perchè troppo illogico anche rispetto ad una certa illogicità dell’alpinismo conosciuto. Al più accettato e in un ambito molto ristretto di uomini che capiscono”.

    mi ha decisamente irritato. Lo trovo irrispettoso nei confronti di una persona che ha fatto una sua scelta e l’ha fatta sulla sua  pelle perchè consapevole dei rischi.

    Non dico che lo si debba condividere.  Non si è d’accordo? Bene!  Ma criticare come se non fosse un esempio di alpinismo, di GRANDE alpinismo, non lo trovo giusto. Per me è grande alpinismo e il grande alpinismo è pericoloso.

    Ho fatto alcune vie nelle quali ti esponi alla caduta di seracchi , ma per un tempo limitato, accettabile.

    Quando con un mio amico siamo andati a fare, anni fa,  la Ratti-Vitali alla Noire al mattino nell’attraversare il Freney siamo passati sotto ad un seracco. Durante la salita questo seracco, dove eravamo passati poche ore prima è venuto giù…

    Chiaramente ci sono seracchi e seracchi e, quelli della Brenva sono molto pericolosi. Questo è evidente.  Io in una salita del genere non mi ci impegnerei, anche se mi sento molto attirato per la grandiosità dell’ambiente naturale e la dimensione estremamente avventurosa, selvaggia.

    Quando si dice: non è proponibile. Se vogliamo ben vedere, nulla è proponibile perchè l’errore, oggettivo o soggettivo è sempre in agguato. La differenza tra quello che è oggettivo e quello che è soggettivo è una forzatura da manuale. Nella realtà le due differenze  spesso e volentieri si fondono e si scambiano di posizione. Certamente più sto esposto ad un pericolo , più rischio di venirne coinvolto. Ma se vuoi fare certe salite questa è la realtà.

    Comino voleva spostare in avanti la sua asticella e anche quella dell’alpinismo. Purtroppo non c’è riuscito. Forse non poteva fare altrimenti.

    Grazie comunque per lo scambio di opinioni, per il confronto  e per il suggerimento dell’articolo.

  3. 35
    paolo panzeri says:

    Spesso parlavo la sera con Renato e gli chiedevo come e perché facesse certe salite che sembravano spesso prima inconcepibili e poi per molti inaccettabili.
    Lui mi spiegava sempre che ragionava, si preparava, cercava di comprendere, di superare i rischi (soggettivi e oggettivi) e poi pregava tanto, per coprire quella piccolissima parte che sapeva di non poter “possedere”.
    Questo per me è l’Alpinismo e lui era una alpinista con una completezza e purezza nettamente superiori e forse tutt’oggi raramente raggiunte.

    Aste, Gabarrou, per citarne due, pregavano, forse loro coprivano quel quid così, altri con esoterismi, altri con fusioni mentali o altro di cultura orientale, altri fumando droghe…

    Alessandro indaga sulla “copertura” del quid!

  4. 34
    Roberto Bianco says:

    Alberto , permettimi di chiamarti per nome,quando parli di Comino in quest’ultimo intervento ti seguo e concordo. Come pure sono pienamente d’accordo con il pensiero di Dino M.

    Quando ti riferisci al trittico di Graham Brown solo in parte. Sono vie esteticamente belle e con una dose di rischio accettabile. Solo la Poire è un po’ al limite. Sceglierei l’inverno. Per Major e Sentinella Rossa la solitaria offre il vantaggio della velocità .E velocità su questi terreni vuol dire sicurezza. Sono rimasto affascinato dal libro “Brenva” di G.Brown e ti confesso le avevo nel mirino.Il problema era trovare un compagno .Una volta andai persino al campeggio del CAI-Uget in val Veny cercando di reclutare un amico . Trovai  Emanuele Cassarà che declinò l’invito. Allora incominciai ad allenarmi con con qualche facile nord in solitaria come il Monviso, l’Aiguille d’Argentière, lo sperone Migot allo Chardonnet. Purtroppo un grave incidente mi impedì di completare il programma.

    Altro punto : quando fai l’esempio di morte in montagna per un errata manovra di corda è chiaramente un errore soggettivo . Tutti possono sbagliare, per carità , ma ti sei fatto un errore che era evitabile .

    Incidente a causa di una caduta di seracchi. Dipende . Se stai attraversando un couloir e quando sei a metà ti becca una scarica , come capitò al povero A.Ottoz, è sfortuna . Ti sei trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato.

    Ho fatto alcune vie nelle quali ti esponi alla caduta di seracchi , ma per un tempo limitato, accettabile. Lyskamm occ. via Hiebeler-Pokorski, Nant Blanc via Charlet-Platanof, Dolent,via dei francesi al Rosa, due volte il Corridor al Grand Combin. Qualche punto protetto , qualche possibilità di fuga.

    Ma se ti attacchi per alcune ore ad un seracco fessurato , molto attivo , esposto a est, senza nessuna possibilità di fuga o punto di sosta intermedio sicuro , scusami , ma è tutt’altra cosa.

     

    Come vedi , Alberto , su alcune cose siamo d’accordo  e su altre no . Direi un buon 60% si e 40%. Inoltre spesso le cose non sono come tu le interpreti. Quando dico che mi piacciono i pensieri di Marcello Cominetti intendo quello e basta ( sono colpito dalla totale coincidenza di opinione ) e non penso assolutamente a quello che tu scrivi di te stesso !

    Così pure, quando alla fine di un mio intervento scrivo :” Alberto Benassi ricorda :”…..” “, intendevo chiudere il mio pensiero citando le tue stesse parole . Quel ” ricorda ” stava per “dixit,says”, mentre tu l’hai interpretato per un imperativo esortativo.

    Mi farebbe piacere se tu leggessi tutto l’articolo di Cassarà pubblicato su Liberi Cieli 1979. E’ breve e vale la pena leggerlo con calma. Se hai problemi a reperirlo, se mi dai la tua mail , te lo faccio avere.

    Per me è un piacere parlare di montagna con i giusti toni di rispetto reciproco.

  5. 33
    Alberto Benassi says:

    io non credo che Comino quando ha deciso di affrontare i seracchi dell Poire sia andato a:  “cercare il rischio”  per il gusto del rischio fine a se stesso.

    Questo sarebbe come giocare alla roulette russa, solo per il gusto di provare scariche dui adrenalina.

    Non credo che sia stata questa  l’intezione di Comino. Lo dimostra anche il fatto che prima di andarci. Comino ha studiato molto bene il comportamento dei seracchi. Ci ha ragionato molto. Alla fine ha anche deciso di andarci da solo. Sicuramente perchè si rendeva ben conto del rischio a cui andava incontro. Ha deciso di mettersi in gioco per risolvere un problema alpinistico. Ma la fatto con razionalità, con preparazione.

    Ma non da meno sono stati l’inglese Graham Brown e compagni quando hanno salito per la prima volta su questo versante la Poire, la Major, la Sentinella Rossa e la Kagami. Addirittura senza ramponi ma solo gradinando.

    Poi sono arrivate la Super Major e tante altre. Le solitarie di Bonatti e Mauri. Le invernali.

    Poi la prima discesa in sci della Major di Stefano De Benedetti.

    Insomma qui c’è tutta la storia dell’evoluzione dell’alpinismo, una continua ricerca di andare oltre.

    Si  questo alpinismo è molto pericoloso! Ma  da non prendere ad esempio?

    Se la risposta giusta fosse questa, già le prime di Graham Brown sarebbero da definire fuori di testa, certamente da non ripetere. E chi c’è andato dopo per ripeterle, per  le invernali, per  le solitarie,  con gli sci, altra gente fuori di testa da cui stare alla larga!

    Dei brutti esempi alpinistici.

    Non sono d’accordo. Perchè alpinisticamente parlando , sono dei grandi esempi. Perchè dimostrano quanto l’uomo alpinista può andare oltre.

    Poi possiamo  discutere se umanamente questo mettersi in gioco vale la pena.

    Ma credo che la risposta sia molto personale, intima. Non ci può essere una risposta generica che possa valere per tutti come regola generale.

     

     

  6. 32
    Dino M says:

    I rischi, in ogni attività, sono oggettivi o soggettivi. Mentre quelli soggettivi sono affrontabili con impegno, allenamento e talento, quelli oggettivi spesso non sono “programmabili”e spesso influenzati dal caso.

    Mia opinione è che una salita non è “più” difficile perché affrontata con rischi oggettivi maggiori solo più rischiosa; una persona che affronta una salita in mezzo ad un periodo di brutto tempo non è “più forte”. Solo cerca e accetta maggior rischio.

    Ho usato il termine CERCA non a caso.

    Persone che cercano il rischio ce ne sono tante e in tutti i campi della vita e a tutte le età. Poi è ovvio che in tutto ciò che facciamo c’è “rischio” ma un conto è accettarlo e affrontarlo oltre ad avere la forza di superare le difficoltà inaspettate che ci si parano davanti,un conto è cercarlo.

    Io non ho la presunzione e la statura di “giudicare”  o sapere se uno il rischio lo ha cercato  o trovato e nemmeno quella di “giudicare” uno che il rischio lo cerca.

    Ritengo però che quando i rischi oggettivi superino i rischi soggettivi il gioco diventi veramente azzardato per se stessi e per chi dipende o si fida di noi.

  7. 31
    Alberto Benassi says:

    Un banale incidente ha interrotto una bella storia.

    Hai detto giusto…un banale incidente. Non i seracchi della Brenva.

  8. 30
    Alberto Benassi says:

     E’ un piacere leggere le sue osservazioni chiare, garbate , logiche, decise e sincere.

    Invece io sono:

    scuro, maleducato, polemico, illogico, indeciso e anche bugiardo.

  9. 29
    Roberto Bianco says:

    Come al solito concordo con Marcello Cominetti .  E’ un piacere leggere le sue osservazioni chiare, garbate , logiche, decise e sincere.

    Dei tre fortissimi francesi che invitai a Torino in quegli anni , era abbastanza facile capire chi avesse più possibilità di sopravvivenza . Scusate la freddezza.

    Ho sperato che Giancarlo ce la facesse. Era stato abile ed ammirevole a superare i problemi relazionali di Calimero creandosi una famiglia ed un lavoro stabile. Un banale incidente ha interrotto una bella storia.

  10. 28
    Alberto Benassi says:

    Alberto, un alpinista dovrebbe fregarsene dell’opinione della gente sia da vivo che tanto meno da morto. Se il problema è cosa dice di te la gente non è bello per te medesimo.

    Generalizzo e sarò freddo, ma io non ho una buona opinione di quegli alpinisti che fanno furore per qualche anno e poi muoiono in montagna.
    Qualche anno fa parlavo di questo con Elizabeth Hawley e lei, che non era affatto un’alpinista ma ne conosceva moltissimi e aveva sviluppato uno spiccato senso della comprensione del rischio e della motivazione di quest’ultimi, mi diceva freddamente quali erano quelli che sarebbero durati poco pur essendo già dei miti. Non si sbagliava affatto nelle sue macabre previsioni e Mark Twight l’ha spiegato bene (attirandosi l’odio di molti) nel suo Confessioni di un serial climber.

    Il rischio non fa grado, secondo me.

    Marcello io del giudizio altrui me ne frego . Sai quante volte sul lavoro, quando accade un incidente in montagna, i miei colleghi mi dicono anche con una certa ironia: “un altro! continui ad andarci? ”  . Io rispondo meglio morire ai monti che qui a lavorare. Perchè morire di lavoro è veramente triste, oltre che incivile!

    Comunque questa è la realtà. Almeno nei luoghi dove non c’è una grande tradizione alpinistica. Magari da te in trentino è sicuramente diverso. Ma anche sui giornali si leggono questi giudizi.

    E’ vero Marcello il rischio non fa grado ma fa impegno. Ci sono salite tecnicamente facili ma molto pericolose. Altre invece difficili ma sicure. Poi ci sono anche quelle che racchiudono  tutte e due le caratteristiche. E queste secondo me, alpinisticamente parlardo sono il massimo.

    Poi non è che vado ad istigare il prossimo ad impegnarsi in queste salite, perchè so benissimo che cosa comportano. Tante volte ci sono ragazzi che escono dai corsi e mi vengono a chiedere di vie da salire. Li invito sempre alla prudenza, ad aspettare.

    Ma alpinisticamente sono un esempio di grandezza. Su questo ne sono convinto!

    Se alcuni  alpinisti non le avessero ricercate, certi itinerai non sarebbero mai stati realizzati.

  11. 27
    paolo panzeri says:

    Il rischio non fa grado, secondo me 

    E la VANITA’ in certi ambienti tiene sempre basso il grado, perché non sa farlo salire e questa incapacità deve nasconderla.

    Alberto, forse ciò che ho qui aggiunto a Marcello spiega certe “saggezze”.

    Son troppo poco politico. 🙂 

  12. 26

    Alberto, un alpinista dovrebbe fregarsene dell’opinione della gente sia da vivo che tanto meno da morto. Se il problema è cosa dice di te la gente non è bello per te medesimo.

    Generalizzo e sarò freddo, ma io non ho una buona opinione di quegli alpinisti che fanno furore per qualche anno e poi muoiono in montagna.
    Qualche anno fa parlavo di questo con Elizabeth Hawley e lei, che non era affatto un’alpinista ma ne conosceva moltissimi e aveva sviluppato uno spiccato senso della comprensione del rischio e della motivazione di quest’ultimi, mi diceva freddamente quali erano quelli che sarebbero durati poco pur essendo già dei miti. Non si sbagliava affatto nelle sue macabre previsioni e Mark Twight l’ha spiegato bene (attirandosi l’odio di molti) nel suo Confessioni di un serial climber.

    Il rischio non fa grado, secondo me.

  13. 25
    Alberto Benassi says:

    Alberto Benassi  ricorda : “Chi si mette in gioco rischiando di brutto non va preso ad esempio.Ma nemmeno condannato, sono sue scelte.”

    Roberto Bianco scusa la mia franchezza ma a me non devi proprio ricordare nulla.

    Faccio alpinismo da 40 anni sono istruttore di alpinismo dal 1984  , di  esperienze belle e brutte ne ho avute tante. Quindi so bene quanto si rischi e cosa si rischi d impegnarsi in certe avventure.

    Non ho mai incitato nessuno a mettere a repentaglio la propria vita in montagna. Anzi forse ho scoraggiato.

    Però ribadisco che non sono d’accordo con te quando dici che ALPINISTICAMENTE  certe salite di questi alpinisti  non sono ad esempio. Alpinismo per me è andare oltre. L’ ho scritto anche nel mio articolo che Alessandro ha pubblicato poco tempo fa. Non so se l’hai letto.

    Per me alpinisticamente la salita dei seracchi della Poire di Grassi e Comino è una GRANDE SALITA ALPINISTICA.

    Quindi alpinisticamente è un esempio.

    Umanamente è una follia.

    Io non la farò mai perchè non ho la loro accettazione del rischio e nemmeno il talento.

    Comino dopo questa salita con Grassi è voluto andare oltre. Oltre alpinisticamente e umanamente mettendo in gioco la sua vita.

    Ma alla fine se lasci la tua pelle sotto al crollo di un seracco o se la lasci perchè hai sbagliato una banale manovra di corda. Per la gente comune sei sempre il solito coglione. Quindi se la vita vale di essere vissuta come te dici ( giusto) non è che se la perdi con un azzordo folle è da condannare mentre se la perdi con un un azzordo meno azzardo è scusabile.

    Non so se sono riuscito a spiegare la  sottigliezza che io ci vedo.

  14. 24
    paolo panzeri says:

    Veloce con Roberto Bianco: se sei di Torino, mi spiace che tu non sappia ciò che accade a Torino nell’alpinismo, per esempio alla Gervasutti, ma anche un pò dovunque da qualche decennio. Non devo essere io a dirlo. Buone scalate e buone assemblee.

  15. 23
    Roberto Bianco says:

    Rapida risposta a Paolo Panzeri .

    Da alpinista del nord-ovest ho sempre amato Giusto Gervasutti. Attualmente sto cercando di coinvolgere tutte le persone ed istituzioni possibili per dedicargli una piazza,un corso o una via  a Torino per ricordarlo degnamente.

    La mia ammirazione per il Fortissimo l’ho dimostrata facendo le prime ripetizioni italiane al Pilone Nord del Freney ( 36 anni dopo ) ed alla Croz ( 45 anni dopo ) insieme a Dino Rabbi.

    Scusami , ma che cosa ti hanno mai fatto i torinesi ?

  16. 22
    Roberto Bianco says:

    Bello e giusto il commento di Marcello Cominetti che centra molto bene il problema con parole equilibrate e serene.

    Lasciatemi chiarire alcuni punti.

    Grazie a Giancarlo Grassi ho iniziato ad andare in montagna un po’ seriamente e nel tempo siamo rimasti in buoni rapporti.Ho sempre apprezzato il suo grande e contagioso entusiasmo per la montagna ed ammirato la sua capacità di uscire da una situazione non facile diventando guida e creandosi una bella famiglia.Condivido in pieno il buon articolo scritto su di lui da Ugo Manera. L’attività alpinistica insieme a Gianni Comino non può che essere apprezzata e portata ad esempio. Quando però incominciano a scalare i seracchi nel bacino della Brenva, pur ammirando il coraggio e la prestazione tecnica, non mi sento più di indicarli ad esempio.Permettetemi di chiarire.Vi sono seracchi e seracchi. Taluni compatti e con poche fratture, tranquilli e poco attivi, pur con bei muri verticali . Ma quelli della Brenva proprio no ! Per ben otto volte mi sono calato oltre il col Moore sul basso bacino e per sei volte ho assistito a scariche micidiali, di cui due mi hanno coinvolto. Mi sono salvato per un pelo.

    Alle quattro di notte siamo nella terminale della Cecchinel-Nominé. Enrico Pessiva mi assicura mentre risalgo il ripido pendio d’attacco. Nel buio uno schianto inequivocabile sopra di noi : è il seracco di sinistra della Poire . A tutta velocità incomincio a scendere in piolet-traction i quindici metri che mi separano dal compagno. Il rumore spaventoso è sempre più vicino : l’unica è girarsi e saltare sperando di centrare la terminale. Devo la vita ad Enrico che ha prontamente recuperato corda facendomi cadere ai suoi piedi. Appena atterrato passa su di noi una mandria di bisonti, tutto trema : la montagna e le nostre budella. Un sottile pulviscolo di ghiaccio ci ricopre penetrando ovunque. Grazie alla buona sorte siamo vivi e forse ho anche sporcato le mutande. Pochi anni dopo due miei cari, amici, Mario Marone ed Angelo Gaido, scompaiono risucchiati da una grande scarica mentre bivaccano da queste parti. Questo per dire che i seracchi della Poire in particolare e quelli della Brenva in generale, data la conformazione e l’esposizione della parete, sono molto, molto,molto pericolosi ! Non parlo per sentito dire , ma per esperienza diretta. L’Alpinismo è una pratica di per sé già pericolosa, specie se si amano le grandi vie di misto. Cadute di sassi, di ghiaccio,traversate rapide sotto i seracchi, cattivo tempo in quota….Personalmente ho pagato un prezzo : le dita del piede destro congelate ed una caduta di 350 metri con lesioni alle vertebre ( tre mesi d’ospedale e 5 cm. in meno di statura ).

    Alla luce di queste esperienze non posso raccomandare ad un amico, ad un giovane di  cimentarsi sui seracchi della Poire . Sarebbe , sempre secondo me, come incitarli a giocare alla “roulette russa” con due pallottole nel tamburo da sei colpi . Cercherei di dissuaderli in ogni maniera dicendo loro che la vita è bella e vale la pena viverla fino in fondo. In montagna ci si va per  divertirsi cercando possibilmente di portare la pelle a casa.

    Gianni Comino conosceva molto bene i rischi a cui andava incontro. Non giudico , non condanno e non sminuisco nessuno . La sua era una scelta lucida e consapevole che rispetto. In montagna esiste la libertà di scelta , anche la più estrema . Alberto Benassi  ricorda : “Chi si mette in gioco rischiando di brutto non va preso ad esempio.Ma nemmeno condannato, sono sue scelte.”

  17. 21
    Alberto Benassi says:

    si ma ognuno si diverte come meglio crede. Non c’è una regola.

    Chi si mette in gioco rischiando di brutto non va preso ad esempio. Ma nemmeno condannato, sono sue scelte.

    Io non farei quello che ha fatto Honnold al Cap e non solo. Non lo consiglio  a nessuno di farlo ma non mi sento nemmeno di condannarlo.

    Nelle parole che ha scritto Roberto Bianco, almeno per come  le ho interpretate, (poi magari mi sbaglio) si legge una non tanto velata critica un pò negativa nei confronti di Comino e Grassi  come se fossero stati dei cattivi esempi.

    Alpinisticamente parlando non credo che siano stati dei cattivi esempi. Caso mai il contrario!

    Se poi la vogliamo mettere sotto l’aspetto di giocare con la propria vita nel fare nulla di utile…( ma cosa è utile e cosa è inutile) e molto di pericoloso,  allora si potrebbe anche discutere.

    Ma anche chi va a fare salite con tutti i crismi della sicurezza non fa nulla di utile (se non per se stesso…forse) . E il momento del bischero può capitare a tutti, anche ai più prudenti.

    E loro che sono scusati ? mentre Comino no?

  18. 20

    Tutti hanno ragione. È incredibile come in Italia ci siano degli alpinisti che guai a toccarli. Hanno avuto una loro definizione a suo tempo e tale deve restare per l’eternità. Ma neppure loro erano perfetti e magari allo stesso tempo c’era chi era più bravo ma non amava mostrarsi. È sempre successo. Credo che una redazione debba fare anche la cronaca delle imprese a rischio altissimo, ma che non le debba esaltare, perché potrebbero essere cattivi esempi per i giovani. Chi rischia perché non gliene frega di morire, non è bravo ma è solo mancante dell’istinto di conservazione che serve invece avere. Quanti britannici e alpinisti dell’est fortissimi sono morti dopo un decennio di imprese incredibili? Il più bravo porta la pelle a casa dopo aver fatto un passo in più di quello che in relazione al suo tempo era il limite. È come chi salta con gli sci pareti di roccia altissime e finisce sulla sedia a rotelle o al camposanto. Mica è bravo, è solo un elargitore di dispiaceri. E in montagna è meglio divertirsi.

  19. 19
    Alberto Benassi says:

    Alberto, io son stato censurato, ma anche tu sei sulla buona strada.

    Va bè Paolo. Io vado in montagna per divertimento, mica ci devo vivere.

     

    Paolo io non sono nessuno e come tale non sminuisco nessuno. Caso mai sono  altri che sminuiscono coloro che sono andati OLTRE che hanno visto quello che altri non vedevano  e hanno reso GRANDE l’alpinismo italiano.

  20. 18
    Alberto Benassi says:

    Era l’Ypercouloir ma loro non lo sapevano ancora …

    bisogna essere visionari.  Avere occhi per vedere dove altri non vedono.

    Mettersi in gioco.

    Forse ancora non era giunto il momento…A volte ce l’hai dentro ma non tirendi conto. Serve qualcosa, un catalizzatore.

  21. 17
    agostino says:

    Era il 20 luglio 1977 ,ed io ero ospite di Comino a” baita cipolla” in val Ferret assieme a Grassi,Piana .Il giorno prima avevamo aperto una via . Io stavo guardando con il telescopio le Grandes Jorasses e vidi un lunghissimo colatoio che scendeva per molte centinaia di metri . Dissi che era bellissimo per farci una via . Giancarlo Grassi mi rispose “ma figurati chi va a fare una via proprio li ” Era l’Ypercouloir ma loro non lo sapevano ancora …

     

     

  22. 16
    paolo panzeri says:

    Alberto, io son stato censurato, ma anche tu sei sulla buona strada.
    Attento, la cricca-acca-prestigiosa torinese degli “scarsi”, quelli più o meno sindacalizzati de “il più forte friendista del west”, non può essere sminuita: ciò che dicono di aver fatto deve “SEMPRE” essere ritenuto da tutti VERO .
    E nelle scuole torinesi sono delle belle guerre, ora sembra anche con bei buchi.

    Il “vento nuovo” fra di loro non è mai soffiato nemmeno al mattino, solo brezze di fondovalle. 🙂  Questa è pesante. 🙂
    Per fortuna che qualcuno però c’è sempre, resiste alla cricc-acca-prestigiosa e scala senza dover raccontare balle.

  23. 15
    Alberto Benassi says:

    condivido quanto detto da Paolo. Non sono d’accordo su quanto scritto da Bianco.

    Cosa vuol dire l’alpinismo di Comino non è proponibile ?!?!

    ILLOGICO ?? Certo che è illogico . L’alpinismo deve essere illogico.

    L’alpinismo di Comino è stato VISIONARIO, come una attività che si pregia della parola alpinismo deve essere !!

    Cosa c’è di logico nell’alpinismo ?  NULLA!! esattamente NULLA!!

    Perchè a logica, come il mi babbo mi dice da anni: cosa ci vai  a fare ancora su quei sassi?

    La logica , il buon senso, ti suggerisce di stare a casa sul divano.

    L’alpinismo di Comino e Grassi è stato TROPPO SUPERIORE  e come tutte le cose troppo superiori non sono comprese. Anzi dire osteggiate, quasi quasi…condannate:

    “confidiamo che sia rimasta invalicata quella del buonsenso”. ”

    E’ proprio vero che non si è mai profeti in casa propria.

     

  24. 14
    paolo panzeri says:

    Non condivido ciò che vien detto qui sotto, tra l’altro con referenze del tutto discutibili.

    È un elogio della “aurea mediocritas” ! E anche una giustificazione e una difesa di incapacità che  da anni sembrano abituali.

    Gervasutti, per citarne uno vicino ai piemontesi torinesi, non mi sembra la pensasse minimamente così, si vede infatti che da pochi è stato onestamente seguito e Grassi e Comino l’han seguito.

    Ma ognuno è quello che è, per fortuna di solito prima o poi si capisce.

  25. 13
    Roberto Bianco says:

    Vorrei replicare ad Agostino Zimaglia che non ho speso molte parole su Grassi e Comino poichè già Enrico Camanni ne parla correttamente nella “Storia dell’Alpinismo” e nel suo ultimo libro “verso un Nuovo Mattino”. Inoltre le cronache alpinistiche del tempo ne hanno sempre parlato. Anche noi della redazione di SCANDERE 79 riportammo la notizia di due nuove vie aperte risalendo i seracchi della Poire e del col Maudit . Però aggiungemmo :” Si è parlato di superamento della frontiera della paura ; confidiamo che sia rimasta invalicata quella del buonsenso”.

    Parlando in particolare di  Comino concordo pienamente con le opinioni di Emanuele Cassarà che scrive a pag. 35  di Liberi Cieli 1979 : “L’alpinismo di Gianni Comino non può essere proposto. Perchè troppo illogico anche rispetto ad una certa illogicità dell’alpinismo conosciuto. Al più accettato e in un ambito molto ristretto di uomini che capiscono”.

    Pur comprendendo l’aspetto affascinante di certe salite , non trovo appropriato pubblicizzarle e proporle agli altri. In montagna vi è la massima libertà. Ognuno fa le proprie scelte ponderate e poi coerentemente deve accettarne le conseguenze !

    Il saggio Ugo Manera ricorda sempre : ” Alpinista che torna buono per un’altra volta “.

  26. 12
    agostino zimaglia says:

    Pochissime parole spese per Grassi e Comino … e relative imprese magnifiche

  27. 11
    Gigi Paroni Sterbini says:

    Conosco Roberto da moltissimi anni ed abbiamo condiviso insieme molte “vacanze” invernali trascinandomi con entusiasmo e per me, amico di Roma, anche con un pò di spericolatezza in bellissimi ed affascinati fuori pista italo-francesi ed oltre.

    Sapevo delle sue innumerevoli esperienze di arrampicata, ho visto la sua bella casa piena di splendide fotografie, ma mai, dico mai si è voluto vantare di ciò. Solo oggi leggendo questo bell’articolo, forse un pò tecnico per me che, anche dopo aver letto innumerevoli libri, questo tipo di montagna non ho mai praticato, mi sono reso conto delle tante ed importanti imprese giovanili e meno da lui compiute tra il 1970 ed il ’90 e poi, con più tranquillità sino ai giorni nostri.

    Grande merito quindi a Roby che preferisce esaltarsi di più della sua splendida cantina mentre con saggia modestia, tipica di chi affronta la montagna per pura passione e rispetto, non si vanta, come aimé fanno in troppi, di quelle imprese che, spesso condivise, gli hanno dato tante gioie ed a volte qualche serio dispiacere.

    Bravo Roby.

     

     

  28. 10
    Marco Tatto says:

    Roberto Bianco si avvalse dell’esperienza accumulata nelle salite su misto per sviluppare parimenti un’attività scialpinistica di alto livello.  Ricordo un articolo comparso sulla Rivista del CAI negli anni ’80 (che mi è stato in seguito preziosa fonte di ispirazione) in cui raccontava alcuni episodi salienti della sua personale “collezione” dei 4000 sciistci delle Alpi. Particolarmente significative le salite scialpinistiche effettuate con Corradino Rabbi al versante nord-ovest del Taschhorn e alla sud delle Jorasses.

  29. 9
    Giuseppe Penotti says:

    Gran bel pezzo, e i post di Ugo e Enrico lo rafforzano e nobilitano ancora di più.  Mi spiace non poter  essere li stasera.

  30. 8
    paolo panzeri says:

    Bello il racconto!
    Mi permetto di scrivere delle mie opinioni sull’alpinismo, ma anche sul vivere.

    Quando nel proprio tempo non si riesce a realizzare quello che si vuole fare e che altri fanno vuol dire che non si è capaci.
    E quando non si riesce più vuol dire che si è vecchi.

    Ogni tempo ha delle caratteristiche che non si ripetono, poi vengono assimilate e ne nascono delle altre, ma in un altro tempo.

  31. 7
    Ugo Manera says:

    Roberto ha puntualizzato bene che lo spirito che ci ha spinti in quegli anni ad “inventare” Caporal e Sergent è il medesimo che ha guidato successivamente alcuni di noi sulle grandi pareti. Io, che sono stato un protagonista di quei begli anni, posso testimoniare che il mio obiettivo principale non si limitò mai alle avventure sulle prealpi francesi, sul Caporal o sull’ Ancesieu, ma al fondo del desiderio restavano sempre le invernali e la ricerca sulle grandi pareti ove sviluppare mentalità e tecniche del nostro Nuovo Mattino. Con la mia visione da dilettante, che mi portava a sfruttare al meglio ogni opportunità di tempo libero, condizionata anche da una certa forma di integralismo, mi appariva quasi un sacrilegio andare sulle pareti della Valle dell’Orco nelle stagioni idonee alle imprese in alta montagna. Non tutti tra di noi, fortunatamente, la vedevano in questo modo ed ognuno agiva di conseguenza.

    Quando si argomenta su questi temi spunta spesso il tema del professionismo non legato al mestiere di guida alpina ma indirizzato alla prestazione atletica. Recentemente Alessandro ha ripreso un mio scritto del 1980 che allora suscitò scalpore. La mia analisi di allora era generata non da critiche verso chicchessia, ma da una speranza utopistica che come tutte le utopie è andata sfumando fino a dissolversi. Mi muoveva la speranza di un ritorno ad uno sport dilettantistico fatto in piena libertà, senza dover rendere conto a nessuno disposto a sostenerti finanziariamente. Era solo un’utopia che oggi mi fa sorridere per la sua ingenuità

  32. 6
    Alberto Benassi says:

    Scrivo letteralmente che«sono diventati professionisti della scalata per assecondare il talento, non per combattere il mondo. La trasgressione è il mezzo, non più il fine».

    @ Enrico Camanni

    Allora si potrebbe dire che sono stati degli opportunisti, più che  dei rivoluzionari che hanno trasgredito per il gusto di farlo.

    Capito male?

  33. 5

    Ho avuto più di un’occasione di chiarire con Roberto il mio pensiero, ma ad uso dei lettori vorrei precisare un paio di cose. La frase “Bisogna davvero essere ammalati di eroismo per scalare le pareti nord, specie se non si sa godere l’avventura, non pensare ai rischi” riguarda un incubo personale durante una notte sul Monte Bianco. Quindi non è un giudizio. Di Boivin e Berhault parlo diffusamente nel libro, proprio per precisare che erano dei grandissimi innovatori ma non degli utopisti. Scrivo letteralmente che«sono diventati professionisti della scalata per assecondare il talento, non per combattere il mondo. La trasgressione è il mezzo, non più il fine».

  34. 4
    Alberto Scuero says:

    Articolo molto interessante. Conoscevo solo una minima parte di quelle appassionanti avventure che l’ amico Roby Bianco ci raccontava con grande entusiasmo subito dopo averle vissute. bello manterne la memoria

  35. 3
    Alberto Benassi says:

    molto bello, bravo e sopratutto onesto!

    Interessante il confronto con Enrico Camanni . Il ghiaccio forse non era il suo luogo ideale.

    Il ghiaccio , il misto viene sempre dopo la roccia. Come se fosse meno considerato. Chissà perchè…?

  36. 2
    Carlo Crovella says:

    Complimenti per il testo. E’ stata descritta a puntino l’ altra faccia del Nuovo Mattino, questo inteso solo in senso arrampicatorio.

    Che peccato che Torino non sia più quel centro di fermento ideologico come allora!

    Ma forse non è piu’ così l’intero mondo dell’alpinismo.

  37. 1
    Ivo F. says:

    Un bel “punto della situazione”, ben scritto

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