Il convegno del CAAI: Libertà e alpinismo

Montagna e responsabilità
di Eugenio Cipriani (da Il Giornale di Vicenza di giovedì 16 ottobre 2014)

Diversi decenni fa Giorgio Gaber cantava “libertà è partecipazione”, ma per il Club Alpino Accademico Italiano (CAAI) riunitosi sabato 11 ottobre 2014 a Caprino, in campo alpinistico la frase dovrebbe suonare “libertà è responsabilità”. Equazione sulla quale pressoché tutti i presenti all’evento, vale a dire relatori e soci del club che sono poi intervenuti al dibattito, si sono trovati d’accordo. Numerosissimi gli Accademici presenti al convegno: circa 130.

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Dopo il benvenuto da parte delle autorità locali ha fatto gli onori di casa il veronese Arturo Franco Castagna, presidente del gruppo Orientale del CAAI e che, con il neo Accademico scaligero, il caprinese Cristiano Pastorello, è stato l’organizzatore dell’evento.

A far da moderatore, invece, è stato Alessandro Camagna, presidente della sezione scaligera del CAI. Castagna, dopo aver ricordato che proprio quest’anno cadono i cinquant’anni dalla morte di Giancarlo Biasin al quale ha idealmente dedicato il convegno, ha poi lasciato la parola al primo dei cinque relatori, nonché decano del Club e past-president del gruppo Orientale, il triestino Spiro dalla Porta Xydias. Il past-president, dopo aver lamentato la scarsa attenzione che il Club Alpino Italiano presta nei confronti dell’Accademico, ha affermato che la libertà equivale a ciò che si prova andando in montagna ma, ed è questo il nodo cruciale per Spiro, solo se l’approccio alla montagna è cavalleresco e puro, estraneo cioè alla ricerca del primato o, peggio ancora, del lucro. L’alpinista come cavaliere dell’ideale, quindi, sempre alla ricerca di un’elevazione spirituale che solo la montagna, raggiunta attraverso la pratica dell’alpinismo, che implica assunzione di rischi ma anche di responsabilità, sa offrire.

Un’ipotesi, quella di Spiro dalla Porta Xydias, forse un po’ datata in un mondo dove, come evidenziato dal secondo relatore, Carlo Zanantoni del gruppo orientale, si sta rendendo ormai necessaria la realizzazione di una rete di osservatori per la libertà in montagna, vale a dire persone o gruppi di persone attente a monitorare nella propria area situazioni, circostanze, malcostumi o normative che limitino o possano condurre in futuro ad una restrizione della libera fruizione degli spazi alpini da parte di escursionisti ed alpinisti.

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Su queste affermazioni si è inserito poi l’intervento, forse il più atteso, del celebre alpinista genovese Alessandro Gogna, uno dei primi ad aver messo da tempo in evidenza, sia durante diversi convegni che sulla stampa, la necessità di tenere alta l’attenzione intorno a questo argomento. Gogna ha esordito dicendo che con l’evoluzione dei materiali, intesi nella duplice accezione di materiali per la progressione e materiali per la sicurezza, poco a poco si è avviato negli alpinisti un lento, subdolo, incessante processo di deresponsabilizzazione. In pratica, se un tempo la scarsità e la poca affidabilità del materiale (spesso fatto in casa) rendevano necessaria un’attenta preparazione anche e soprattutto psicologica del singolo scalatore che si assumeva “in toto “la responsabilità di ogni manovra e di ogni decisione, ora questo succede solo in parte. Tutti i materiali, ha evidenziato Gogna, sono oggi assoggettati a severi test condotti a livello internazionale (marchio UIAA) e quasi più nessuno, a meno che non si tratti di un esaltato irresponsabile, affronterebbe un itinerario di arrampicata con materiale fatto in casa o recuperato nel baule del nonno! Ma la deresponsabilizzazione va ben oltre, ha detto sempre Gogna, e abbraccia lo stesso terreno di scalata. A partire dalle scuole di alpinismo che, perlopiù, organizzano corsi approfittando di falesie perfettamente attrezzate, fino ai singoli alpinisti e persino alle Guide alpine oggi è tutta una ricerca della via protetta in maniera “moderna”, cioè con soste e passaggi assicurati da protezioni che, almeno in teoria, dovrebbero essere a prova di caduta (spit-fix o anelli resinati, catene alle soste di calata, ecc.). Quando tutto è preparato e preconfezionato, secondo Gogna, tende a verificarsi una sottovalutazione del rischio ed una sopravvalutazione delle proprie capacità con esiti nefasti. Similmente, il sapere di poter contare sempre sulla possibilità, tramite il cellulare, di chiedere immediatamente soccorso è un fattore in più di deresponsabilizzazione. Si potrebbe guardare a questo aspetto in maniera bonaria, giudicandolo nient’altro che frutto dei tempi: come nessuno oggi si sognerebbe più di guidare un’auto con i freni a tamburo alla stessa stregua nessuno, se non in occasione di una rievocazione storica, arrampicherebbe con una corda di canapa, chiodi di ferro fatti in casa magari lungo un itinerario friabile e pericoloso! Però questo atteggiamento di deresponsabilizzazione nasconde un altro fenomeno, anch’esso frutto dei nostri tempi, ma che rappresenta un pericolo non meno grave nei confronti della libertà dell’alpinismo.

Deresponsabilizzarsi implica parallelamente, ha sottolineato infatti Carlo Bonardi del CAAI Centrale nel proprio intervento, trovare un colpevole in caso di incidente, sia esso il compagno, l’azienda costruttrice dei materiali usati, oppure l’apritore-preparatore dell’itinerario. Insomma, vi è il pericolo che anche in alpinismo dilaghi, come già successo qualche volta e come ogni giorno accade infinite volte nella nostra società nelle situazioni più disparate, il ricorso all’articolo 43 del Codice penale, laddove si distingue il reato fra colposo e doloso. E’ veramente triste, ha esclamato ad un certo punto Spiro dalla Porta Xydias, che si sia giunti oggi a dover trattare argomenti quali colpa, dolo e sanzioni a proposito di un’attività come l’alpinismo che da sempre ha simboleggiato un mondo, sia in teoria che in pratica, ben al di sopra delle miserie quotidiane!

Lo sfogo del decano triestino è stato da tutti applaudito, ma a smorzare l’entusiasmo dei convenuti e a riportarli con i piedi per terra e la mente attenta ai problemi della società attuale ha provveduto Giancarlo Del Zotto, che ha parlato di sicurezza in montagna fra regole, sanzioni e consumismo. Bisogna fare attenzione, ha detto Del Zotto, a non confondere la libertà in montagna con l’irresponsabilità o con l’approssimazione, atteggiamenti entrambi tipici del nostro tempo. Al contrario, l’alpinista deve evolversi nel proprio cammino esperienziale sempre più verso un’accresciuta responsabilità personale che lo induca ad operare ogni scelta in funzione delle possibili conseguenze, in primo luogo quelle negative, che da essa potrebbero derivare. Quindi, ancora una volta, il senso di responsabilità è emerso come elemento basilare per garantire la libera fruizione della montagna anche in futuro senza divieti e senza codifiche, senza esami di ammissione e senza patentini.

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Quinto ed ultimo intervento è stato quello del docente di Filosofia morale all’Università di Verona, Italo Sciuto, che ha paragonato l’alpinista ad un personaggio dantesco sospeso fra Catone l’uticense (“… Libertà va cercando, ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”) ed Ulisse (“… fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”). Ma l’alpinista, ha sottolineato Sciuto, deve comunque agire secondo un principio di responsabilità (di nuovo la parola-chiave del convegno) in modo che le conseguenze del proprio agire siano compatibili con la possibilità che le generazioni future possano vivere una vita autentica ed autonoma come è (o dovrebbe essere) la nostra. In più, ha aggiunto il docente di Filosofia morale, di fronte all’onnipotenza della tecnologia occorre esercitare un sano scetticismo non disgiunto da una buona dose di timore.

Fra gli interventi succedutisi nella seconda parte del convegno durante la quale si è svolto un dibattito prevalentemente incentrato sui rischi penali legati alla realizzazione di vie nuove e\o di palestre naturali di roccia, uno dei più seguiti è stato quello di Maurizio Dalla Libera, Presidente della Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Scialpinismo (CNSASA) il quale ha ricordato che anche le Scuole di alpinismo, assieme ad altri organi tecnici centrali del Club Alpino Italiano, si sono occupati del tema della libertà in alpinismo ed ha pure aggiunto, riallacciandosi in parte a quanto detto da Alessandro Gogna, che la montagna è e deve restare un luogo fruibile liberamente dagli alpinisti senza obbligo di conseguire apposite patenti e senza la necessità di essere accompagnati da un professionista, a meno che non si cerchi deliberatamente tale ausilio. Inoltre, ha aggiunto Dalla Libera, se in palestra è giusto curare il gesto, in montagna si deve curare soprattutto lo spirito ed un buon punto di partenza è essere pienamente responsabili di ciò che si sta facendo. Anche per questo, ha concluso il presidente del CNSASA, è opportuno che gli istruttori di alpinismo sappiano guardare oltre alla praticità ed alla comodità delle vie facilitate dalla presenza di protezioni fisse (le cosiddette “vie plaisir”), ma si sforzino piuttosto di accompagnare i propri allievi, sia per motivi tecnici che etici e storici, sulle vie classiche.

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Il convegno del CAAI: Libertà e alpinismo ultima modifica: 2014-12-01T07:30:45+01:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Il convegno del CAAI: Libertà e alpinismo”

  1. 7
    Carlo says:

    Tutte cose che non puoi e non devi pretendere da una guida alpina. Bene sarebbe che i corsisti avessero “PRIMA” studiato i manuali in uso alle guide ed agli istruttori….secondo me

  2. 6
    Carlo says:

    A mio modesto parere un corso di alpinismo dovrebbe semplicemente insegnare la tecnica e dare la possibilità agli allievi di conoscersi e procedere nell’alpinismo con le loro gambe

  3. 5
    Luis Valerio says:

    Gli istruttori devono trasmettere all’allievo innanzi tutto l’autoresponsabilita’ diversamente dal vizio Italiano di incolpare sempre qualcun altro delle proprie scelte e fare una netta distinzione fra Alpinismo e Falesismo , attivita’ che si devono svolgere sempre nel totale rispetto della montagna.

  4. 4
    Alberto Benassi says:

    “L’ ALPINISMO”…. non te lo insegna nessuno.
    L’alpinismo è una cosa che hai dentro e che si evolve e cresce nel corso del tempo.

    Tanto meno te lo può insegnare….un istruttore durante le poche uscite di un corso. Anche perchè spesso e volentieri ci sono corsi dichiarati di alpinismo ma che di alpinismo hanno ben poco. Anche perchè l’alpinismo è rischioso e gli istruttori non sono mica tutti degli ” ALPINISTI” . Quindi questi corsi di alpinismo spesso e volentieri sono in verità dei corsi di arrampicata. Come fa notare Giando gli istruttori cercano di pararsi il culo portando gli allievi su vie piuttosto sicure e collaudate. In fondo hanno un certa dose di responsabilità ma non sono mica pagati.

  5. 3
    antola armando says:

    a mio parere l’istruttore deve: seguire l’allievo nel suo percorso di crescita,deve insegnare l’alpinismo che sappiamo essere tante cose
    (teniche,sicurezza,cultura responsabilità ecc.ecc.).Nell’ultima uscita del corso su un’alta montagna per una via classica,ecco lì dobbiamo essere bravi a indicare l’orizzonte e parlare alla libertà che ognuno ha dentro di se.

  6. 2
    GIANDO says:

    Forse dico una stupidata ma se ci sono istruttori che portano gli allievi sulle vie cosiddette “plaisir” forse lo fanno anche per limitare gli incidenti e le conseguenti responsabilità civili e soprattutto penali.

  7. 1
    Giuseppe Masneri says:

    Da sottolineare le ultime parole di Dalla Libera riguardo il portare gli allievi su vie classiche ! Meditate istruttori .

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